IMPRUNETA PATRIA DELLA TERRACOTTA

    terracotta impruneta - duomo firenze

    La storia della terracotta d’Impruneta: dagli albori ai giorni nostri

    Il gesto è antico come l’uomo: mescolare la terra con l’acqua, impastarle fino a cambiare la loro identità e trasformarle in un materiale “nuovo”, fluido e cedevole, che può essere plasmato e modellato in una grande varietà di forme. L’aria e il fuoco completeranno infine la trasformazione conferendo così alla materia una nuova identità: la terracotta.
    Non è facile cercare di stabilire dove e quando l’uomo “inventò” la terracotta, certo è che ovunque fu acceso un fuoco sopra uno strato di argilla, rimasero poi pezzi solidificati di materiale più o meno poroso che indubbiamente svegliarono un lampo di ingegnosità nell’uomo.

    Non è un caso che proprio laddove l’argilla è abbondante e di buona qualità sia nata e si sia sviluppata una vera e propria “civiltà del cotto”: la materia è penetrata nella quotidianità del vivere, nelle espressioni artistiche e persino nella gastronomia, legando indissolubilmente l’uomo alla sua terra.

    La terracotta d’Impruneta e la struttura geologica delle colline

    Le colline dell’Impruneta hanno una struttura geologica composita, al cui interno figura spesso un complesso insieme di materiali argillosi e limosi. Proprio da questa componente argillosa derivano quelle terre tanto adatte alla produzione di manufatti che hanno fatto dell’Impruneta la patria del “cotto“.

    La presenza della materia prima accanto ad una superficie boschiva (da cui deriva anche il toponimo Impruneta “in Pineta”) da cui era possibile trarre alimento per le fornaci e, non ultima, la vicinanza alla città di Firenze, produssero all’Impruneta un precoce sviluppo delle manifatture di terracotta fin dal medioevo, anche se già gli Etruschi e poi i Romani usavano ampiamente l’argilla per realizzare stoviglie, bicchieri, piatti e altri oggetti fittili per la casa.

    Quando nasce la “Corporazione degli Orciolai e Mezzinai”

    È comunque il Medioevo – nel marzo del 1309 – che segna la nascita della “Corporazione degli Orciolai e Mezzinai” a testimonianza della fiorente attività artigiana che forniva al mercato locale laterizi da costruzione, vasi, mezzine, catini e contenitori per generi alimentari – uno fra tutti l’orcio (anche detto ziro, otre, coppo, giara, olla, anfora a seconda dei dialetti) – utilizzato per la conservazione ed il trasporto di olio di oliva e vino prodotti sui colli del Chianti.

    Da sempre Impruneta è sinonimo di lavorazione della terracotta, in virtù della particolare qualità della materia, ricca di metalli che la rendono particolarmente resistente al gelo e che, nel tempo, ha visto la propria produzione diffondersi dal vicino mercato fiorentino, all’Italia fino a molti paesi esteri.

    I grandi maestri del Quattrocento e la loro attenzione alla terracotta

    Proprio la qualità della materia e la competenza dei suoi artigiani furono gli elementi che catalizzarono l’attenzione dei grandi maestri del Quattrocento sulla terracotta: primo fra tutti Filippo Brunelleschi che per la cupola di Santa Maria del Fiore – Duomo di Firenze – volle unicamente il cotto dell’Impruneta andando di persona alle fornaci, seguendone la lavorazione e la cottura, progettandone la forma in base alle particolarissime e innovative esigenze strutturali.

    Fu quindi il Quattrocento il secolo che riscoprì questa materia, grazie ad un nutrito gruppo di artisti vivaci intellettualmente, curiosi e pronti alla sperimentazione, che ridiedero valore e dignità alla terracotta, utilizzata non più unicamente per i meri utilizzi domestici, ma anche per le massime espressioni artistiche.

    Un materiale che suscitò gli entusiasmi di Donatello – il quale realizzò opere quali la Madonna con Bambino al Museo Stefano Bardini di Firenze, il Giosuè del Duomo di Santa Maria del Fiore, o l’Annunciazione Cavalcanti in Santa Croce.   

    Impossibile non citare la famiglia della Robbia, con Andrea, Luca e Giovanni, e la loro predilezione per la terracotta invetriata: il loro inestimabile lavoro ha dato il nome alle maioliche invetriate che, a tutt’oggi, vengono chiamate “robbiane”e che sono gelosamente custodite, tra gli altri, anche al museo del Louvre, alla National Gallery di Londra fino oltre oceano al Met di New York.

    Tuttavia il cotto non fu e non è solo sinonimo di massimi capolavori, ma anche e soprattutto di arredi come conche, orci, statue, vasi ornamentali posti a coronamento di muri, ingressi, pilastri di cancelli e giardini.

    Una intensa attività che dal Quattrocento/Cinquecento, giunge fino alla produzione attuale dove permangono inalterati i caratteri di creatività e competenza artigiana.

    È da questa tradizione artigiana e radicata nel territorio che da più di 100 anni, la fornace di terrecotte Poggi Ugo, trae tutta la sua sapienza e continua con passione l’antica arte imprunetina.